Alberto Nagel |
Secondo Giovanni Pons è il tempismo.
Ecco il suo lungo ma interessante articolo:
Prima del 6 aprile, giorno in cui è stato cacciato Cesare Geronzi dalle Generali, il giudizio della comunità finanziaria su Alberto Nagel, il giovane 45enne ad di Mediobanca, era ancora quello di un banchiere lucido, svelto, ma poco realizzato. Ma ora, com'è normale quando si esce vincitori da torride battaglie di potere, il plotone dei sostenitori si è ingrossato e Alberto Nagel è diventato uno dei pochi banchieri dal carattere forte e con un'intelligenza sociale, un manager che trasmette empatia, cioè colui che cerca di comprendere l'altro mettendo da parte ogni attitudine affettiva personale. In realtà la più grande dote che Alberto Nagel sta mostrando, bocconiano entrato in piazzetta Cuccia esattamente vent'anni fa quando al timone c'erano il fondatore e Vincenzo Maranghi e il capo dell'area capital market Gerardo Braggiotti, è quella del tempismo, saper attendere il momento giusto per poi colpire con la necessaria freddezza. Così è stato con Geronzi, la cui uscita di scena è frutto di un mix di elementi che ora si fa fatica a collocare in ordine di importanza. L'antefatto, che oggi viene raccontato ma che fino a quando Geronzi era in auge non era mai trapelato, affonda le radici un decennio fa, quando dopo la scomparsa di Cuccia l'allora presidente di Capitalia e vicepresidente di Mediobanca si inventò l'istituto del comitato nomine, "lottizzato" per fasce di azionisti, cioè un modo elegante per permettere agli azionisti di controllare le poltrone che contano nelle partecipazioni strategiche di piazzetta Cuccia, da Generali a Rcs fino a Pirelli. E che nella sua formula rivista nel 2008 e valida tutt'oggi, con sei componenti di cui tre manager interni e tre rappresentanti degli azionisti, è stato determinante nello spedire a Trieste lo scalpitante Geronzi, che considerava chiusa la sua missione da presidente di Mediobanca. Alberto Nagel e Renato Pagliaro, cioè i manager operativi della banca, non ritenevano giusto un anno fa indicare Geronzi come presidente di Generali. Si assisteva così alla pantomima di un Alberto Nagel che rifiutava l'incontro decisivo con il suo presidente volto a definire il nuovo vertice di Trieste. Le pressioni interne ed esterne, in quei momenti, erano altissime, e l'algido Alberto Nagel teneva duro, ma solo fino alla sera prima del famigerato comitato nomine. Oggi emerge che quella sera la politica ci mise lo zampino, nella persona del ministro dell'Economia Giulio Tremonti, autore di una moral suasion pesante nei confronti di Marco Drago e Lorenzo Pellicioli, titolari della Lottomatica che vive di gare indette dal ministero, e azionisti di Generali con il 2,5% dopo averle venduto la Toro a prezzi generosi. Quella sera Drago e Pellicioli si recarono a cena a casa di Alberto Nagel ed evidentemente si mostrarono favorevoli alla trasmigrazione di Geronzi. I manager di Mediobanca potevano vincere in comitato nomine solo con il supporto di Dieter Rampl, l'esponente di Unicredit, ma anche da quella parte d'un tratto l'ad Alessandro Profumo non sembrava incline allo scontro preferendo la soluzione concordata. Così Geronzi, supportato da Vincent Bollorè e da Marco Tronchetti Provera, fu spedito a Trieste ma l'abile Alberto Nagel riuscì nell'occasione a contrattare non solo il rafforzamento dell'ad Giovanni Perissinotto ma anche un consiglio di amministrazione molto diverso da quello che avevano proposto i francesi e dal taglio più indipendente. Mossa che si è rivelata azzeccata e che il 6 aprile scorso ha permesso di coagulare un fronte anti Geronzi di ben 12 consiglieri su 17 se si annoverano anche Perissinotto e Balbinot. Il gruppo dei "normalizzatori" ha lavorato in squadra come mai si era visto prima. L'ariete Diego Della Valle, con le sue invettive pubbliche anti Geronzi, ha surriscaldato l'ambiente al punto giusto, il resto l'hanno fatto gli avversari che invece di abbassare i toni hanno alzato il livello dello scontro puntando sull'ad Perissinotto, punto debole della gestione dopo un decennio di operazioni poco brillanti e intrise di sospetti. E anche in questo caso, l'ultima sera è stata decisiva. Con in mano la lettera al vetriolo Alberto Nagel, Francesco Saverio Vinci, Pellicioli e Della Valle hanno dovuto avvertire della loro mossa gli incerti consiglieri. La cena con Francesco Gaetano Caltagirone è stata prolungata fin oltre mezzanotte, per impedire che Geronzi venisse informato e muovesse in extremis il suo braccio armato della comunicazione. Paolo Scaroni è stato avvisato dallo stesso Alberto Nagel e l'appuntamento con Bollorè fissato alle 8 del mattino a colazione, a giornali in edicola. Il blitz si è così consumato nonostante le veementi proteste di Bollorè e un Geronzi totalmente ignaro che di fronte all'ambasciatore Caltagirone non si dimette e chiede di vedere la famigerata lettera. Tutto ciò grazie al riallineamento di Unicredit, oggi orfano di Profumo e più che mai spinto da un Fabrizio Palenzona aspirante perno dei poteri della galassia, e un ministro dell'Economia che sentendo odore di ribaltone politico rinuncia a qualsiasi intervento nella partita di Trieste, al contrario di un anno prima. Così, d'un tratto, il paese si risveglia nell'era post geronziana, con Della Valle che proclama i vantaggi epocali di una svolta per il sistema paese e gli uomini di Mediobanca, Alberto Nagel in testa, a cui è tornato il sorriso e sprigionano felicità da tutti i pori. Il tappo è saltato ma bisogna parare l'ondata di riflusso e far sì che il rinnovamento continui, altrimenti tutto tornerà come prima. I francesi fanno buon viso a cattivo gioco assecondando l'arrivo di Gabriele Galateri alla presidenza ma la loro battaglia per abbattere Perissinotto non accenna a diminuire. Vogliono scoperchiare il pentolone di Trieste e far diventare la compagnia specchiata come quella di piazzetta Cuccia, dove hanno messo piede nel lontano 2002. E Alberto Nagel a questo punto deve pigiare l'acceleratore, per non farsi superare a destra sulla via del rinnovamento. La prossima mossa, con il supporto di Rampl, riguarderà la stessa governance di Mediobanca e la revisione di quel comitato nomine che tanto ha contraddistinto l'era Geronzi. E poi, forse, si andrà a toccare lo spinoso tema delle partecipazioni e quel crogiuolo di interessi incrociati che ha contraddistinto negli anni la banca fondata da Cuccia. Il lavoro di Alberto Nagel e Renato Pagliaro, comunque, senza grandi fanfare è iniziato da tempo. In cinque anni sono state vendute partecipazioni per 3,3 miliardi di euro, da Capitalia a Commerzbank alla Fiat, e si è cercato di ribilanciare i ricavi e i margini sul fronte delle attività classiche di una banca d'affari. Certo gli ultimi tre esercizi non sono stati favorevoli nel complesso per le fusioni e acquisizioni ma ora si vedono segnali di risveglio nell'equity capital market, nelle Ipo, e nell'attività di finanziamento. Mediobanca si è poi aperta al retail banking con il lancio di Che Banca! che ormai contribuisce con il 20% alla raccolta totale di gruppo e da maggio a dicembre sono entrati 1,75 miliardi attraverso i bond collocati direttamente ai risparmiatori sul Mot, un successo senza precedenti. Per l'espansione all'estero Alberto Nagel ha puntato ad acquisire team di specialisti e non banche, e la strategia sembra stia funzionando bene soprattutto in Spagna e a Londra, dove al business dei derivati è stato associato un team di ricerca focalizzato sulle banche. Molto invece resta da fare nell'area del private banking dove la partnership con Banca Mediolanum in Banca Esperia, la boutique di private banking guidata da Andrea Cingoli, non sta portando i risultati sperati nonostante il cambio di management voluto proprio da Alberto Nagel. Si deve attribuire alla sua gestione, comunque, un notevole svecchiamento delle strutture e un netto ricambio generazionale: dei 609 dipendenti della banca, il 17% lavora nelle sedi estere, l'età media è di 38 anni e il 35% è rappresentato da donne. L'unico scivolone il ritocco degli stipendi dei cinque manager di punta spostando il bonus variabile in fisso nell'anno della grande crisi dei mercati. Una scelta che ai piani più bassi è parsa inadeguata e offensiva. In un mondo ideale il management di Mediobanca vorrebbe avere mano libera su tutto, anche sulle partecipazioni, ed essere giudicato triennio dopo triennio solo sui risultati e non sulle operazioni "politiche" della banca. Ma questo traguardo non sarà facile da raggiungere anche se Alberto Nagel ha dimostrato di saper attendere le condizioni giuste. I passaggi più delicati riguarderanno, come sempre, Generali ed Rcs. La prima contribuisce ancora per il 30% agli utili annuali di Mediobanca e per mantenerla inalterata anche con le nuove regole di Basilea 3 occorre rafforzare ulteriormente le altre attività. Il management di Trieste sarà sempre più sotto osservazione, anche per il pressing dei francesi, e c'è la necessità di allontanare dal mercato l'idea di un inciucio costante con Mediobanca. L'idea, prima o poi, di vendere una parte di quel 14%, e rendere più lasco il legame, non è utopia ma, ancora una volta, i tempi devono essere maturi, soprattutto tra i soci di piazzetta Cuccia. La rivoluzione più vistosa potrebbe colpire Rcs dove la coesistenza tra 14 azionisti forti non è sopportabile nel lungo periodo, come Alberto Nagel e Renato Pagliaro sanno bene. I due non hanno condiviso la discesa dei grandi soci al livello della Rcs Quotidiani, in una sorta di replica del patto di sindacato a stretto contatto con il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport. Non a caso lì non vi è alcun rappresentante di Mediobanca ma alla scadenza del patto i tempi potrebbero essere propizi per una semplificazione dell'azionariato, con le banche che compiono un passo indietro per far spazio a un editore di professione, italiano o estero che sia. Vedremo se il giovane Alberto Nagel, amante dell'apnea e della caccia, riuscirà a compiere anche questi miracoli facendo dimenticare ciò che a volte ricordano i suoi detrattori: la sponda con Maranghi al momento dell'uscita di Matteo Arpe da Mediobanca e l'appoggio a Profumo quando lo stesso Maranghi subiva l'attacco dei banchieri di sistema.
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