martedì 26 febbraio 2013

Andrea Cingoli: Bisogna capire le esigenze dei clienti

Andrea Cingoli, Banca Esperia
Andrea Cingoli, ad di Banca Esperia
"Bisogna capire le esigenze dei clienti", ha dichiarato Andrea Cingoli, amministratore delegato di Banca Esperia.
La crisi, infatti, sta spingendo le private bank italiane a diversificare i servizi e a dare la priorità alla consulenza fiscale. 
È quanto emerge da un servizio/intervista a cura di Francesca vercesi uscito a dicembre su Milano Finanza.
Banca Esperia è l'istituto di private banking che fa capo a Mediobanca e Mediolanum, con 13,6 miliardi di asset a fine settembre, che nel 2010 ha avviato un servizio di consulenza che ha già inciso per 1,5 miliardi di euro sulle masse.
Dice ancora Cingoli: "La gestione dei grandi patrimoni in Italia e in Europa occidentale dal 2008 è in crisi strutturale, non solo a causa dell'andamento dei mercati. L'industria è ancora focalizzata sulla gestione finanziaria del patrimonio. Ma visto che i mercati sono molto volatili, questi servizi non hanno saputo rispondere alle aspettative della clientela generando disaffezione. Per tornare alla redditività occorre rivedere i modelli. In particolare, quello vincente deve essere focalizzato, per quanto riguarda gli asset finanziari, su una maggiore decorrelazione rispetto alle attività di impresa o professionali e una diversificazione globale degli investimenti, finora focalizzati su strumenti e mercati nazionali. Infine, ci vuole anche un supporto consulenziale per la gestione delle aziende di famiglia e dei beni immobili. E nell'acquisizione di professionalità in questi campi, compreso l'M&A, che intendiamo investire" conclude Andrea Cingoli, che per il 2012 anticipa un aumento dei ricavi del 35% a fronte di costi stabili, anche grazie alla cessione delle attività nei fondi hedge e immobiliari.

lunedì 25 febbraio 2013

Enrico Cucchiani presidente della Fondazione R&I

Enrico Cucchiaini
Enrico Cucchiaini
Si è tenuta venerdì a Milano la prima riunione del Consiglio di sorveglianza della Fondazione Ricerca & Imprenditorialità, che sarà in carica per il triennio 2013-2015. Il consiglio composto da 15 membri (due ciascuno indicati dai fondatori e uno dal cofondatore) ha nominato Enrico Cucchiani, presidente e Riccardo Varaldo vicepresidente vicario della Fondazione Ricerca & Imprenditorialità.

Il Consiglio di sorveglianza della Fondazione Ricerca & Imprenditorialità risulta così composto: Giuliano Amato (Scuola Superiore Sant'Anna), Giampio Bracchi (Fondazione Politecnico di Milano), Oscar Cicchetti (Telecom Italia), Silvana Chilelli (Intesa Sanpaolo), Enrico Cucchiani (Intesa Sanpaolo), Alberto Maria Giuseppe De Paoli (Enel), Graziano Dragoni (Fondazione Politecnico di Milano), Felice Fulvio Faraci (Telecom Italia), Marco Forlani (Finmeccanica), Salvatore Majorana (Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia), Carlo Mango (Fondazione Cariplo), Alessandro Pansa (Finmeccanica), Sauro Pasini (Enel Ingegneria e Ricerca), Simone Ungaro (Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia), Riccardo Varaldo (Scuola Superiore Sant'Anna).

La Fondazione Ricerca & Imprenditorialità si propone di stimolare e sostenere la crescita e l'internazionalizzazione di Piccole e Medie Imprese (Pmi), Spin-Off e Start-Up ad alto contenuto tecnologico che costituiscono la nuova generazione dell'industria del nostro Paese nell'era della conoscenza. I soci fondatori rappresentano i tre pilastri fondamentali sui quali costruire le basi per una crescita solida e sostenibile fondata sull'innovazione: l'industria, l'Università e la finanza.

lunedì 11 febbraio 2013

Le banche hanno paura del voto. La restituzione dei prestiti della Bce solo dopo l'esito delle elezioni.


Le imminenti elezioni spaventano anche le banche. Ecco ciò che sostiene l'Huffington Post.


Che quelle del 2013 non sarebbero state elezioni “normali”, se elezioni normali ce ne sono mai state in Italia, era chiaro. Ma che servisse persino una polizza di assicurazione per proteggersi dal “rischio voto”, è una novità assoluta. Le banche italiane l’hanno sottoscritta. Nelle loro casse hanno 250 miliardi di euro che la Bce di Mario Draghi gli ha prestato e che hanno tre anni di tempo per restituire. In Europa molti gruppi che hanno ricevuto l’aiuto hanno iniziato a rimborsare la Bce. In Italia le banche hanno restituito, per ora, solo un miliardo.
La ragione l’ha spiegata il direttore generale della Banca d’Italia, Fabrizio Saccomanni. Le banche italiane, ha detto a margine del Forex, l’assise del mondo bancario, probabilmente attendono “le elezioni politiche” e “la fine di una certa volatilità”. Segnale che hanno paura. Paura che dal voto possa non emergere un governo stabile. E soprattutto in grado di onorare gli impegni presi con l’Europa. Troppo presto, insomma, per lasciare il salvagente lanciato da Draghi e provare a nuotare da sole.
Del resto è stato il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a ricordare quanto essenziale quel salvagente sia stato. Le banche italiane, ha ricordato Visco al Forex, hanno un rapporto tra impieghi e raccolta del 120%. Per finanziare i prestiti alle imprese, dunque, hanno bisogno di risorse maggiori rispetto ai depositi dei loro clienti. Soldi che di solito prendono a prestito da altre banche, soprattutto internazionali. Solo nel 2012 questa voce di raccolta è diminuita di 76 miliardi, mentre i depositi delle famiglie sono cresciuti di 58 miliardi. Senza i rifinanziamenti della Bce i prestiti delle banche a imprese e famiglie, che l’anno scorso si sono ridotti di 38 miliardi, sarebbero crollati rovinosamente.

venerdì 8 febbraio 2013

Applausi per l'euro



Ecco cosa morningstar.it dice riguaro la nostra moneta.


Le performance dell’euro hanno strappato l’applauso della Bce. Un riconoscimento importante se si considera che, per dirla con il presidente dell’istituto Mario Draghi, “il tasso di cambio è un elemento importante per la crescita e la stabilità dei prezzi, ma non costituisce un obiettivo delle politiche della Banca centrale”. La moneta unica nel 2012 ha guadagnato il 2% nei confronti, ad esempio, del dollaro. Negli ultimi sei mesi si è rafforzata in media del 7% nei confronti delle divise dei 10 paesi economicamente più forti del mondo. “L’apprezzamento è un segnale di ritorno di fiducia nell’Eurozona”, ha detto Draghi durante la conferenza stampa dopo l’ultima decisione di lasciare invariati i tassi di interesse.  “Al netto della fiducia, bisogna aggiungere che i cambi devono riflettere i fondamentali e, in via generale, i tassi di cambio reali e nominali dell'euro sono vicini alla media di lungo periodo”.

Le opportunità…
A questo punto, resta da capire come si può muovere la divisa europea. Gli elementi per ulteriori apprezzamenti non mancano. Molto ruota intorno alla fiducia che gli operatori nel complesso avranno nella ripresa del Vecchio continente. Un elemento che dovrebbe spingere l’acquisto di asset di Eurolandia, considerando che la moneta unica si è rafforzata in un anno (come il 2012), in cui la regione è stata data in più occasioni per spacciata. In generale si potrebbe assistere a un ritorno degli acquisti da parte delle banche centrali che, negli anni scorsi hanno ridotto le loro riserve di euro ma che oggi hanno il bisogno di diversificare le monete presenti nelle loro casse. A questo si potrebbero aggiungere gli investimenti privati. Se è vero che nei momenti più neri dei mesi scorsi i capitali sono fuggiti dai paesi dell’Europa periferica, è altrettanto vero che molti di quei soldi non sono usciti dalla regione, ma sono finiti negli stati più forti della zona. Se la situazione dovesse tranquillizzarsi, allora potrebbero tornare a distribuirsi in maniera più equa.

Nel frattempo la Federal Reserve continua con le sue manovre di stimolo all’economia. In altre parole, continua a stampare moneta deprezzando, di fatto, il valore di quella in circolazione. La stessa strategia la sta seguendo la Bank of Japan. La Banca d’Inghilterra, intanto, resta nel limbo. A guidarla arriverà presto Mark Carney, attualmente numero uno della Bank of Canada che, si dice, sarà molto aggressivo nel dare una spinta all’economia del Regno Unito. Questo, potrebbe indebolire la sterlina (e, magari, rafforzare il dollaro canadese quando Carney se ne sarà andato).

…e i rischi
I pericoli non mancano. Ad esempio, ci potrebbero essere delle violente prese di profitto, considerando anche che, secondo molti operatori, la volatilità continuerà a restare elevata nei prossimi mesi. La Bce, poi, potrebbe decidere di abbassare il costo del denaro (una possibilità, al dire il vero sulla quale gli analisti non punterebbero volentieri i loro soldi). E’ più facile invece che ci siano scommesse su un intervento dell’istituto per abbassare il valore della moneta, anche se l’operazione non sarebbe troppo invasiva. C’è poi l’incognita delle elezioni. Le preoccupazioni sono soprattutto per quelle Italiane prima e tedesche poi. Nel primo caso gli investitori hanno il timore che vada al governo una parte poco incline alle riforme strutturali invocate dalle istituzioni finanziarie internazionali. Nel secondo c’è la preoccupazione che possa guidare la cancelleria una formazione o una coalizione contraria agli aiuti ai paesi più deboli. In entrambi i casi gli investitori tornerebbero a sudare freddo.

venerdì 1 febbraio 2013

Bpm, pronta a diventare una spa. Consulenti al lavoro sul nuovo Statuto


Su Repubblica si legge il nuovo destino che potrebbe svelarsi alla Banca Popolare di Milano.

MILANO  -  La Bpm sta per cambiar pelle: il progetto non è ancora stato ufficialmente sottoposto ai consigli di sorveglianza e di gestione, ma la trasformazione in spa potrebbe essere questione di poco. E, segno dei tempi, se verranno mantenute le premesse della vigilia anche i sindacalisti potrebbero essere d'accordo nel cambiamento epocale, insieme ai dipendenti e ai soci privati. Un capolavoro di diplomazia, che porta indubbiamente la firma di Andrea Bonomi e la sapienza tecnica di Piergaetano Marchetti, che da mesi sta lavorando alla riscrittura dello Statuto, ma che poggia anche sulle aperture dei sindacati nazionali, per realizzare l'impensabile fino a poco tempo fa: trasformare la Bpm in una società per azioni. Sempre che tutti tasselli vadano al loro posto.
Qualche giorno fa Bonomi, presidente del consiglio di gestione e principale azionista della popolare, ha tirato le fila con tutti i sindacati nazionali; informalmente la stessa Banca d'Italia è stata messa al corrente del progetto, tuttora in fieri. Se tutti i tasselli andassero al loro posto, la "vecchia" Bpm andrà in soffitta e al suo posto ci sarà una società per azioni, una spa ovviamente quotata, e solidamente governata attraverso il sistema duale. Tuttavia la contrapposizione tra il vecchio e il nuovo non sarà così netta: sono previste infatti strutture "di raccordo" che in qualche misura addolciscano il cambiamento e ne stemperino la portata.
A cominciare da una "Fondazione Bpm", cui verrebbe destinato il 5% degli utili netti della banca, da utilizzare per attività di formazione e socio-assistenziali dirette ai dipendenti ed ex dipendenti della banca (oltre ad iniziative sul territorio). La stessa Fondazione eleggerebbe tre consiglieri su 11 del Consiglio di Sorveglianza. Non basta, se la trasformazione andrà in porto ai dipendenti attuali verranno distribuite riserve sotto forma di nuove azioni, pari al 10% della spa (in termini di controvalore, dovrebbero essere più di 50 mila euro per dipendente). Una quota che servirà a far eleggere alla componente soci-dipendenti altri due membri del Consiglio di sorveglianza (oltre ai tre della Fondazione); il Cds sarà dunque espressione di due liste, una di maggioranza espressa dagli azionisti privati e una di minoranza (due membri), indicata dai soci-dipendenti e in questo modo la componente dell'azionariato più legata ai dipendenti esprimerà una "minoranza di blocco" (cinque membri su undici) in seno al consiglio di sorveglianza, mentre quello di gestione conterà su sette membri. Correttivi a parte, in questo modo la Bpm avrebbe comunque un assetto di mercato, con un larghissimo flottante e qualche socio "importante", a cominciare dallo stesso Bonomi (che già ora ha una quota dell'8,6%) ma anche di Raffaele Mincione, che ha investito nella Popolare l'8,26% e del Credit Mutuel, che ha il 6,8%.
Tutti soci che - ove andasse in porto la trasformazione in spa nella forma preventivata - vedrebbero diluirsi del 10% la loro partecipazione attuale. Però a quel punto la Bpm, pienamente restituita ad una normalità di percorso, potrebbe fungere da polo di attrazione per aggregazioni, giocando un ruolo propositivo forte. Ma del futuro assetto è prematuro parlare (anche se sul mercato sono circolate ipotesi che ventilavano una possibile alleanza con Ubi). Sicuramente però uno degli elementi che si porterebbe dietro una trasformazione del genere è la garanzia, da parte di Bonomi, di restare nell'azionariato per un triennio almeno, a tutela del futuro assetto della neonata spa.
Ovviamente, le incognite sul tappeto sono ancora moltissime. A partire dalla complicata tempistica: se tutto va per il verso giusto il nuovo Statuto potrebbe essere varato nei prossimi mesi ed entro luglio, al massimo subito dopo l'estate, potrebbe essere fissata l'assemblea straordinaria. Che, vista la rilevanza delle modifiche, dovrà poter contare su una maggioranza plebiscitaria, per cui è importante coagulare il maggior consenso possibile intorno al progetto.
Nel frattempo, alla Bpm procede il percorso di "normalizzazione" della vita della banca: nei giorni scorsi si sono concluse le procedure di adesione al Fondo esuberi, che hanno visto un grande successo (sono arrivate 800 richieste contro le 700 contrattate con il sindacato): ha aderito al Fondo per i prepensionamenti anche Osvaldo Tettamanzi, storico sindacalista della banca e responsabile dell'Ufficio soci alla Bpm.