Sempre più fondamentale sta diventando il rapporto che dovrebbe esserci tra le banche e i social
MILANO - L'invasione di
attivismo sui social network contagia anche le banche, seppure gli
istituti di credito mostrino ancora una certa ritrosia ad aprirsi ai
canali del web. Che non solo rappresentano una modalità "smart" e
accattivante di comunicazione, in particolare con un pubblico
anagraficamente pronto a recepire gli stimoli, ma anche un vero e
proprio flusso di raccolta e sviluppo di business. Secondo un'inedita
ricerca di Social Minds condotta su 45 banche nei primi quattro mesi
dell'anno, poco più della metà (55%) degli istituti di credito ha aperto
un social media. La percentuale sale ovviamente alla totalità delle
realtà online, ma precipita a due casi su dieci se si guarda
all'universo del credito cooperativo.
L'utilizzo di questi canali trova uno spesso muro respingente nel ritardo culturale del Belpaese: nello stesso lasso di tempo, secondo Assinform, gli italiani si sono fermati a un utilizzo dell'e-banking del 21% contro una media europea del 40%. Sul fronte opposto, quello delle banche, quanto il freno sia ancora tirato emerge dal fatto che, tra le 45 intervistate, la mancanza di un budget dedicato ai social media sia dominante. Questo elemento è indicato insieme ad altri spauracchi: i costi di gestione e i rischi legati al contatto diretto con i clienti.
Eppure, chi della presenza sul social ha fatto una bandiera, mostra entusiasmo senza mezzi termini. Un esempio è Giovanni Bossi, a capo di Banca Ifis, che tramite le risposte ricevute via web è giunta addirittura alla definizione "social" di prodotti bancari, come il conto di deposito RendimaxLike o il successivo conto corrente tradizionale. "Si tratta di prodotti nati e cresciuti attraverso la socialità, che è impossibile scindere dal web", spiega l'ad. Con 20mila seguaci tra i principali social network, la banca veneta ha fissato uno snodo nell'evoluzione del rapporto tra clienti e istituzione, facendo dei canali web una via di intermediazione che ha spinto il funding, arrivato a 4 miliardi per i conti di deposito.
L'utilizzo di questi canali trova uno spesso muro respingente nel ritardo culturale del Belpaese: nello stesso lasso di tempo, secondo Assinform, gli italiani si sono fermati a un utilizzo dell'e-banking del 21% contro una media europea del 40%. Sul fronte opposto, quello delle banche, quanto il freno sia ancora tirato emerge dal fatto che, tra le 45 intervistate, la mancanza di un budget dedicato ai social media sia dominante. Questo elemento è indicato insieme ad altri spauracchi: i costi di gestione e i rischi legati al contatto diretto con i clienti.
Eppure, chi della presenza sul social ha fatto una bandiera, mostra entusiasmo senza mezzi termini. Un esempio è Giovanni Bossi, a capo di Banca Ifis, che tramite le risposte ricevute via web è giunta addirittura alla definizione "social" di prodotti bancari, come il conto di deposito RendimaxLike o il successivo conto corrente tradizionale. "Si tratta di prodotti nati e cresciuti attraverso la socialità, che è impossibile scindere dal web", spiega l'ad. Con 20mila seguaci tra i principali social network, la banca veneta ha fissato uno snodo nell'evoluzione del rapporto tra clienti e istituzione, facendo dei canali web una via di intermediazione che ha spinto il funding, arrivato a 4 miliardi per i conti di deposito.
E se per loro natura queste tipologie di prodotti portano il costo della raccolta retail a livelli piuttosto elevati, Bossi ricorda che proprio la gestione snella - data dall'assenza di sportelli e dall'utilizzo di canali social e web - permette di aumentare nettamente la "produttività" dei dipendenti. Così la raccolta per impiegato è dieci volte più alta rispetto alle tradizionali filiali; osservazione, in tempi di scontro tra banche e sindacati del credito, che apre alla riflessione sul futuro del modello bancario. La visione di Bossi è netta: "L'impresa bancaria deve recuperare redditività. Le enormi perdite sui crediti non devono essere alibi per non affrontare questi problemi: è necessario imprimere una nuova direzione alle banche, che come modello di azienda devono percorrere una nuova via".
Il passo successivo sarà la trasposizione di queste esperienze sul secondo pilastro dell'attività di intermediazione, l'impiego. Senza fare voli pindarici, ma tenendo ben presente che i rischi sono elevati e non si può prestar denaro con un tweet, Bossi ha mosso i primi passi con le imprese. Ora tocca alle famiglie, in particolare quelle che rientrano nell'area dei Npl (Non performing loans, crediti di difficile esigibilità vantati verso nuclei o persone che hanno sottoscritto finanziamenti e non sono stati in grado di onorarli). "In queste situazioni particolari, dove è in gioco l'estromissione dal sistema finanziario, personalizzare il rapporto tra istituzione e clienti è fondamentale: il canale social può essere ancora una volta un tratto distintivo che caratterizzi il modello di banca che si vuole disegnare".